presentano

La Fondazione Luca e Katia Tomassini presenta il primo appuntamento del progetto “Vedere Lontano”, un programma espositivo in tre atti, a cura di Davide Sarchioni, che mira alla trasformazione graduale delle aree verdi del Vetrya Corporate Campus in un parco di scultura a cielo aperto, con numerose opere che saranno collocate o appositamente concepite per il luogo.

Vedere lontano è lo slogan che incarna anche i valori della Fondazione Luca e Katia Tomassini e che, in questo difficile momento storico, vuole essere un monito rivolto al presente per ampliare lo sguardo verso nuovi orizzonti da raggiungere. Uno sguardo lungimirante veicolato dalla forza visionaria degli artisti che, riflettendo in senso critico sulle conseguenze e i cambiamenti segnati dal’emergenza Covid-19, continuano imperterriti a formulare e a immaginare un futuro possibile.

Da luglio a ottobre 2020, gli artisti saranno invitati a riconfigurare con le loro opere gli ampi spazi esterni del Corporate Campus, un polo tecnologico che offre una vista privilegiata sulle colline circostanti e sull’antica rupe di Orvieto, sperimentando svariate soluzioni e possibilità di dialogo con le specificità del paesaggio, tanto nello sviluppo formale quanto sul piano concettuale, per approfondire le relazioni tra ogni opera e il rispettivo contesto e, in senso metaforico, quelle tra passato e presente, tra cultura della tradizione e dell’innovazione, tra memoria storica e ipotesi futuribili di un domani sempre più vicino.

Il primo appuntamento accoglie le opere di Antonio Barbieri (Rho, 1985), Thomas Lange (Berlino, 1957), Valentina Palazzari (Terni, 1975) e un lavoro di Mauro Staccioli (Volterra, 1937 – Milano, 2018) come omaggio al grande maestro.

Antonio Barbieri ha realizzato l’opera “Matrice II”, una coloratissima struttura in ferro verniciato che, ottenuta seguendo la logica dei frattali, denota l’interesse del giovane artista ad approfondire il rapporto tra geometria, matematica e mondo organico e che si staglia sullo scenario suggestivo della rupe di Orvieto, leggera come un “dente di leone” pronto a disperdersi al primo soffio di vento.

Il lavoro di Thomas Lange è un’accumulazione di oggetti in terracotta e ceramica smaltata, tra vasi e figure antropomorfe “imbrattati” di colore che discendono da un dosso naturale come macerie della storia, la cui disposizione apparentemente casuale si rifà alla deriva culturale del nostro tempo. Passato e presente, ordine e caos e un’ideale di bellezza eterna si scontrano e convivono nelle forme tradizionali, nei materiali utilizzati e nella solidità dei grandi orci dipinti insieme alle figure classicheggianti che segnano l’ingresso dell’edificio del Corpo A.

Valentina Palazzari presenta “senza titolo”, una grande struttura elicoidale e potentemente evocativa costituita da numerose e pesanti reti elettrosaldate sovrapposte che, strato dopo strato, ruotano e si avvitano sul proprio asse come un’agile ed elegante giravolta, seguendo un progressivo moto ascensionale e potenzialmente infinito che sembra sfidare le leggi della fisica tra pesantezza e leggerezza, staticità e dinamismo e sospinge lo sguardo sempre più in alto, per vedere lontano.

Infine, l’omaggio a Mauro Staccioli è reso dall’opera “Prismoidi” del 2003, esposta nel 2018 alle Terme di Caracalla in occasione della mostra “Sensibile ambientale”, la prima retrospettiva dedicata all’artista dopo la sua morte. Si tratta di un insieme di 11 elementi in ferro zincato, forme e oggetti misteriosi la cui disposizione innesca un gioco di rapporti e un profondo dialogo tra l’opera e il luogo in cui è immersa. Staccioli è stato uno degli artisti più attenti alla relazione tra scultura e ambiente.

“Li ho chiamati prismoidi – diceva Staccioli in un’intervista per Artext – perché mi ricorda le possibilità intrinseche della articolazione della forma attraverso le sfaccettature che la geometria mette a disposizione. Uso prismoide perché non è un prisma, ma vi può somigliare. È quindi l’articolazione e l’intuizione che guida la mano ed il pensiero a rendere un oggetto intellegibile”.

“Vedere lontano” è un progetto di Fondazione Luca e Katia Tomassini, realizzato in collaborazione con Terramedia e Archivio Mauro Staccioli. Per l’opera di Mauro Staccioli si ringraziano Andrea Alibrandi e Giuseppe Chigiotti.

Le visite alla mostra saranno organizzate per gruppi ristretti di persone, nel rispetto delle attuali norme di sicurezza.

In occasione dell’Open Day di Giovedì 16 luglio sarà possibile prenotare la visita scegliendo una delle seguenti fasce orarie: dalle 18.00 alle 18.45; dalle 19.00 alle 19.45; dalle 20.00 alle 21.00. È gradita la prenotazione all’indirizzo: info@fondazionelkt.org

Dal 17 luglio all’11 ottobre 2020, sarà possibile prenotare una visita dal lunedì al venerdì, dalle 9.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 17.00

Per prenotare: s.menchinelli@vetrya.com

presentano

io mi sposto un pò più in là

…(se per caso cadesse il mondo)

Mostra fotografica

Isaco Praxolu

Io mi sposto un po’ più in là (…se per caso cadesse il mondo)

a cura di Davide Sarchioni

LaDi Art e Terramedia® presentano la mostra fotografica di Isaco Praxolu che aprirà al pubblico venerdì 21 febbraio alle ore 17.30 negli spazi espositivi di Palazzo Coelli, sede della Fondazione Carior. La mostra è organizzata anche in collaborazione con la Fondazione Luca e Katia Tomassini che, per l’occasione, ha dato in prestito una serie di 8 scatti realizzati dal fotografo.

Il titolo della mostra “Io mi sposto un po’ più in là (…se per caso cadesse il mondo)” è tratto dal testo della nota canzone “Tanti auguri” del 1978 cantata da Raffaella Carrà e mette in luce, con ironia, alcuni degli aspetti che caratterizzano le immagini fotografiche di Praxolu e il suo approccio alla fotografia, come il movimento, la libertà e la spontaneità nella scelta dei soggetti ritratti.

Egli infatti non si definisce un fotografo tout court, piuttosto una figura trasversale, un creatore di immagini che affida allo scatto in movimento la possibilità di comunicare il suo mondo interiore.

Lo sguardo fotografico di Praxolu non tradisce la sua formazione -avvenuta nel campo della danza contemporanea e della scenografia- e pone al centro della sua indagine lo studio del corpo e del paesaggio come forma in movimento, che egli indaga rivelandone le possibili declinazioni.

Come scrive Beatrice Audrito nel testo critico che accompagna la mostra “Il suo è uno sguardo intimo, dinamico e dai molteplici punti di vista, che si traduce nella produzione di immagini fotografiche dal gusto pittorico, dove figure umane si muovono in scenari astratti dai colori tenui, quasi acquerellati o, in altri casi, più accesi e contrastanti. Presenze sottili e sospese nel tempo che suggeriscono il movimento oppure evocano situazioni urbane frenetiche, ottenute prolungando il tempo di apertura dell’otturatore per registrare in macchina, come in una sequenza cinematografica, ciò che avviene di fronte alla lente. Un interessante escamotage che permette al fotografo di dilatare il tempo del processo fotografico e travalicare i limiti del mezzo. L’approccio fotografico di Praxolu abbraccia diverse tecniche, dalla quella del movimento di camera inventata da Harry Callahan -oggi definita Intentional Camera Movement-, utilizzata dal fotografo sincronizzando e muovendo la macchina fotografica al ritmo del suo respiro, alla tecnica del Light Painting, che si serve delle fonti luminose presenti nell’ambiente per costruire immagini astratte, trasformando così la luce in materia compositiva”.

La sfida di Praxolu, come forse di ogni artista, è in fondo anche quella di afferrare nell’attimo di uno scatto l’incredibile varietà del mondo che ci circonda, dove anche un’immagine apparentemente banale può diventare metafora di un’intera esistenza.

Più di 40 scatti realizzati tra il 2015 e il 2020 e appartenenti a diversi ambiti di ricerca, saranno in mostra fino al 17 aprile a Palazzo Coelli, sede della Fondazione CARIOR a Orvieto.

La fotografia come spazio pittorico per ritrarre nuovi mondi 

di Beatrice Audrito

Lo studio del corpo in movimento ha affascinato artisti e fotografi di tutti i tempi, a cominciare da Eadweard Muybridge, il primo nel 1878 a sperimentare l’utilizzo della fotografia in campo scientifico -applicata allo studio analitico del movimento degli animali-, ottenendo risultati talmente interessanti dal punto di vista artistico e compositivo da essere poi ripresi, agli inizi del Novecento, da Marcel Duchamp e dai pittori Futuristi. Uno sguardo nuovo sul mondo che è stato capace di unire arte e scienza, e continua ad affascinare artisti e appassionati di fotografia come Isaco Praxolu, che ama sperimentare e ritrarre nuovi mondi con la sua macchina fotografica. lI suo sguardo fotografico non tradisce la sua formazione -avvenuta nel campo della danza contemporanea e della scenografia- e pone al centro della sua indagine lo studio del corpo come forma in movimento, che egli indaga rivelandone le possibili declinazioni. Il suo è uno sguardo intimo, dinamico e dai molteplici punti di vista, che si traduce nella produzione di immagini fotografiche dal gusto pittorico, dove figure umane si muovono in scenari astratti dai colori tenui, quasi acquerellati. Presenze sottili e sospese nel tempo che suggeriscono il movimento oppure evocano situazioni urbane frenetiche, ottenute prolungando il tempo di apertura dell’otturatore per registrare in macchina, come in una sequenza cinematografica, ciò che avviene di fronte alla lente. Un interessante escamotage che permette al fotografo di dilatare il tempo del processo fotografico e travalicare i limiti del mezzo. L’approccio fotografico di Praxolu abbraccia diverse tecniche, dalla tecnica del movimento di camera inventata da Harry Callahan -oggi definita Intentional Camera Movement-, utilizzata dal fotografo sincronizzando e muovendo la macchina fotografica al ritmo del suo respiro, alla tecnica del Light Painting, che si serve delle fonti luminose presenti nell’ambiente per costruire immagini astratte, trasformando così la luce in materia compositiva. Uno sguardo sul mondo molto personale che si traduce in visioni eteree, stratificazioni, memorie di luoghi e paesaggi urbani dalle architetture appena suggerite, dove elementi del reale si fondono a segni astratti in un nuovo immaginario dall’effetto pittorico. Una ricerca che dimostra in modo inequivocabile come per Isaco Praxolu la fotografia non sia un mero strumento di registrazione del reale bensì uno spazio pittorico all’interno del quale il fotografo, in totale libertà, preleva delle immagini dalla natura oggettuale per poi filtrarle attraverso una visione più intima e soggettiva, stravolgendone liberamente il significato e suggerendo un nuovo rapporto tra referente e riproduzione. 

dal 21 febbraio al 17 aprile 2020

Palazzo Coelli (Fondazione CARIOR)

Piazza Febei 3, Orvieto

Inaugurazione venerdì 21 febbraio, ore 17.30 – 19.00

Orari di apertura:

lun-ven 9.30-13.00 e 14.00-17-00

Ingresso Libero

Organizzazione:

LaDi Art + Terramedia®

In collaborazione con:

Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto 

Fondazione Luca e Katia Tomassini

             

PRESENTANO

ACHILLE PERILLI. BEYOND

14 novembre 2019 – 29 febbraio 2020

Palazzo Petrangeli, Bagnoregio (VT)

Vetrya Corporate Campus, Orvieto (TR)

Il Comune di Bagnoregio e la Fondazione Luca e Katia Tomassini sono lieti di presentare “Achille Perilli. Beyond”, l’importante progetto espositivo dedicato a uno dei grandi protagonisti dell’astrazione in Italia, curato da Davide Sarchioni con la collaborazione di Nadja Perilli, che sarà articolato in due sedi distinte con doppia inaugurazione: giovedì 14 novembre alle 18.30 a Palazzo Petrangeli di Bagnoregio (VT) e venerdì 15 alle 18.30 al Vetrya Corporate Campus di Orvieto (TR).

Achille Perilli (Roma, 1927) è un maestro riconosciuto che ha contribuito a segnare profondamente le vicende dell’arte italiana e internazionale del Novecento a partire dal secondo dopoguerra quando, con le significative esperienze nell’ambito del gruppo “Forma” fondato nel 1947, sancisce la prima fase importante di una straordinaria avventura creativa condotta per oltre settant’anni con grande rigore, coerenza e lucidità intellettuale, sia sul piano artistico che su quello teorico, rispondendo con inusitata libertà e destabilizzante capacità inventiva alle problematiche poste dalla cultura visiva contemporanea di ogni epoca che ha attraversato e che tutt’oggi risulta di sorprendente attualità e vitalità estetica.

Uno degli aspetti fondanti della sua ricerca è l’interesse sulle questioni della “forma” in relazione allo “spazio”, affrontate in senso evolutivo attraverso i linguaggi dell’astrazione pittorica in ogni possibile declinazione e sperimentazione, studiando, assimilando e reinterpretando di volta in volta le istanze delle avanguardie non figurative (da Kandinskij a Mondrian, da Klee a Malevič) insieme a quelle a lui più vicine e innovative, in Italia e in Europa, come nel resto del mondo.

Mosso da una peculiare capacità di guardare oltre, Perilli ha spinto la sua creatività in direzioni sempre più poliedriche, spesso anticipando i tempi, inseguendo costantemente l’idea di associare con soluzioni sempre nuove e cariche di sensibilità poetica la razionalità con l’inconscio, la libera forma lirica con lo spazio rigido e geometrico, individuando proprio nella geometria l’ambito nel quale si manifesta l’emblematico incontro scontro tra due mondi contrapposti. La sua metodologia di lavoro riguarda la continua messa in discussione e l’analisi critica dello spazio razionale astratto e geometrico, con le sue implicazioni politiche, sociologiche e culturali, quale specifica rappresentazione del mondo proponendone l’incessante riformulazione, spingendosi oltre ogni regola e ordine costituito per indagare la percezione della realtà e codificarne il senso più vero e profondo.

Dopo i lavori degli anni Cinquanta, dopo i cosiddetti “fumetti” dei Sessanta, caratterizzati da un segno pittorico libero e quasi calligrafico, ma articolato in rigide inquadrature come sequenze di una narrazione, Perilli approda alla definitiva svolta dell’”Irrazionale geometrico” dettata dalla necessità di sviluppare la ricerca di uno “Spazio Immaginario”, apparentemente illogico e irrazionale, descritto attraverso l’inesauribile formulazione di germinazioni geometriche in cui solidi e figure inverosimili sono articolati seguendo visioni e prospettive multiple, infinite combinazioni e possibilità di proliferazione per offrire punti di vista ambigui e contradditori tra forme aperte e chiuse, linee e volumi che travalicano i limiti della prospettiva tradizionale e compongono labirintiche strutture cromatiche in un gioco infinito di rimandi da quadro in quadro e di concatenazioni tra una forma e l’altra, tra dentro e fuori. L’artista ritorna alla geometria per trasgredirne le regole dall’interno e sovvertirne il senso distruggendo i suoi fondamenti e le sue certezze, costruendo tra la forma e il colore una dimensione di assoluta e “folle” libertà immaginativa.

Dai primi anni Settanta a oggi, Perilli ha continuato imperterrito a sviluppare tale direzione di ricerca in un “continuum” di approdi sempre nuovi ed esaltanti, come nella selezione di lavori recenti degli anni 2000 che costituiscono il fulcro di questa mostra presentata in due atti, tra Bagnoregio e Orvieto, concepiti l’uno come prosecuzione dell’altro.

A Bagnoregio, nelle sale di Palazzo Petrangeli, si snoda un percorso assai variegato che affronta sinteticamente diversi e importanti momenti di ricerca, anche distanti nel tempo, ed esprime quella peculiare versatilità dell’artista individuabile nell’utilizzo di medium differenti, come la serie dei raffinatissimi lavori su carta degli anni Ottanta; alcune storiche sculture totemiche degli anni Sessanta, le cosiddette ”Colonne” ispirate a quelle romane antiche ma che, anziché essere celebrative, vi si snodano le sequenze graffite e immaginative dei “fumetti”; le ceramiche e le terrecotte degli anni Novanta con i “Bistorti”, elementi di un vaso accumulati uno sull’altro in maniera sbilanciata e senza un centro, e le “Argille”, tegole con geometrie a rilievo frutto di un’affascinante immersione nella materia primigenia.

Le numerose tele più recenti, ora dai cromatismi accesissimi e brillanti, ora giocate sulle tonalità terrose degli ocra e dei marroni, evidenziano l’utilizzo incondizionato del colore che prende il sopravvento sulla forma. La superficie del quadro è determinata da una stesura cromatica compatta e pura dove alle “geometrie irrazionali” si sostituisce la bidimensionalità di un “tracciato topografico” analogo allo svolgimento in piano di una forma tridimensionale che risponde alle esigenze del colore.

Ad esse sono accostati alcuni dipinti associabili alle esperienze del gruppo “Forma”, come “Paesaggio astratto” del 1947, recentemente esposto nella grande retrospettiva che il museo dell’Hermitage ha dedicato a Achille Perilli nel 2018, e “A di grande spazio” del 1951, insieme ad altre “geometrie” dei primi Novanta. 

A Orvieto, negli spazi del Vetrya Corporate Campus, un insieme di 26 piccole e preziose composizioni, coloratissime e ironiche, fa da contrappunto all’atmosfera severa e rigorosa data dalla sequenza incombente dei 13 dipinti a fondo nero realizzati tra il 2008 e il 2015, in cui le articolazioni cromatiche strutturali delle forme sono accentuate dai contorni netti ritagliati da un nero compatto e si accendono vivacissime in contrasto con l’oscurità che le avvolge ponendole sfrontatamente alla ribalta senza nessuna modulazione o ripensamento, come una dichiarazione decisa ed estrema.

Eseguite sulle tonalità degli azzurri e dei verdi, con improvvise accensioni del giallo o del rosso, forme solide e compatte o aperte come piani sovrapposti sono articolate nella superficie del quadro innescando un sistema di rimandi tra una composizione e l’altra che tendono a dilatarsi fino a emergere nello spazio fisico. Si tratta di immaginifiche e proliferanti strutture avvolgenti che descrivono spazi virtuali analoghi a certe configurazioni digitali tridimensionali. Qui, più che altrove, l’artista sembra guardare al futuro (“In viaggio verso il futuro”, 2009), in sintonia con la nuova dimensione ubiquitaria offerta da internet e dai social network, attraverso formulazioni geometriche che conquistano spazi inesplorati, frutto del nostro inconscio e della nostra percezione. Con questi lavori, che propongono in maniera del tutto inedita la funzione del fondo nero rispetto alle note esperienze passate, Perilli si spinge di nuovo oltre, come se stesse già traguardando nuove soluzioni che saranno verificate nell’opera successiva, ma rimanendo in attesa del dopo. “Il desiderio del domani risiede anche nel riconoscere il frutto scaturito dal seme del quadro precedente” (L. Caprile).

La mostra “Achille Perilli. Beyond”, che raggruppa complessivamente una selezione di 68 lavori, sarà aperta al pubblico dal 14 novembre 2019 al 29 febbraio 2020 presso Palazzo Petrangeli di Bagnoregio (VT) e da venerdì 15 novembre al 29 febbraio 2020 negli spazi del Vetrya Corporate Campus di Orvieto (TR).

È organizzata da Fondazione Luca e Katia Tomassini e il Comune di Bagnoregio, in collaborazione con Vetrya, Casa Civita, Archivio Achille Perilli e Terramedia-LaDI Art di Isaco Praxolu.

L’alba del tramonto, 2009, tecnica mista su tela, 150 x 150 cm, courtesy of Archivio Achille Perilli

La visione geometrica, 2015, tecnica mista su tela, 100 x 81 cm, courtesy of Achille Perilli_ph Riccardo De Antonis

Il viaggio verso il futuro, 2009, tecnica mista su tela, 120×120 cm, courtesy of Achivio Achille Perilli

UBIQUO.

ANATOMIA DEL PENSIERO

di

LUCREZIA ZAFFARANO

ANDREA SARTORI

dall’11 ottobre 2019 al 10 novembre 2019

Vetrya Corporate Campus

Via dell’Innovazione 2

Orvieto

Inaugurazione venerdì 11 ottobre, ore 18.30

“Quattro dita equivalgono a un palmo, quattro palmi equivalgono a un piede, sei palmi formano un cubito, quattro cubiti equivalgono all’altezza di un uomo, quattro cubiti equivalgono a un passo, ventiquattro palmi equivalgono a un uomo”

Leonardo Da Vinci

Per i 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, la Fondazione Luca e Katia Tomassini rende omaggio al genio italiano del Rinascimento e di tutti i tempi  con un’opera d’arte inedita ed estremamente innovativa dal titolo “Ubiquo. Anatomia del pensiero”. Ispirata al celebre disegno dell ‘“Uomo vitruviano” di Leonardo, l’opera è stata ideata dalla giovane artista Lucrezia Zaffarano e dal film-maker Andrea Sartori e sarà presentata al pubblico venerdì 11 ottobre alle ore 18.30 presso il Vetrya Corporate Campus di Orvieto, con la cura di Davide Sarchioni.

“Ubiquo” è un progetto sperimentale, unico nel suo genere,  che unisce l’esperienza delle arti visive a quella tecnologica e digitale e mira ad attualizzare il significato dell’”Uomo vitruviano” rispetto a una nuova concezione dell’uomo contemporaneo, giocando tra presenza e assenza e con l’idea dell’ ubiquità, di essere cioè fisicamente presente in più luoghi allo stesso tempo.

Si tratta di un’installazione interattiva, multimediale e multisensoriale  costituita da un sistema di sensori e una videoproiezione collegati a una grande scultura che,  rileggendo lo schema del disegno leonardesco, ricalca il perimetro della forma del quadrato incastonata  in quella nel cerchio. La mancanza del soggetto è rimpiazzata dalla presenza dello spettatore che interagendo con l’opera si sostituisce all’uomo vitruviano, attivando  una proiezione a parete che traduce i movimenti degli arti e del corpo in linee di forza. 

Lo spettatore diventa così protagonista e fulcro dell’opera, giungendo alla consapevolezza della sua anatomia, della forma, della proporzione, per approdare verso un nuova concezione di sé, di un “uomo nuovo” come “misura di tutte le cose” ed emblema dell’attuale era tecnologica e digitale. 

“Ubiquo” è un’esperienza interattiva e immersiva fruibile da tutti (vedenti, ipo e non vedenti) che apre una visione del mondo ricca di nuove geometrie e possibilità.

Il progetto è realizzato in collaborazione con Vetrya, Keymotions, Terramedia e LaDi Art, e sarà visitabile fino al 10 novembre 2019, dal lunedì al venerdì dalle 9:00 alle 18:00, il sabato e la domenica su appuntamento.

Ingresso libero

Info: 

Tel. 0763 4810

info@fondazionelkt.org

www.fondazionelkt.org

www.ubiquo.site

CHRISTIAN LEPERINO
ABISSO
a cura di Davide Sarchioni
13 luglio – 8 settembre 2019
Castello Aragonese d’Ischia

L’Associazione “Amici di Gabriele Mattera” è lieta di presentare il nuovo progetto espositivo di Christian LeperinoAbisso”, a cura di Davide Sarchioni, presso gli spazi del Castello Aragonese d’Ischia, in permanenza dal 13 luglio all’8 settembre 2019.
“Abisso” è un’installazione diffusa site-specific ispirata alle architetture e all’antichissima, stratificata storia del Castello, che fu avamposto greco venticinque secoli fa ed è completamente circondato da un mare reale e metaforico, le cui sponde hanno visto popoli e culture scontrarsi e mescolarsi, hanno accolto e protetto, vissuto abbandoni e rinascite.
«Abisso per me – spiega Leperino – è la Storia, la vertigine del tempo che ci avvolge e ci sfida, come scrisse Primo Levi. E, insieme, un monumento all’umana resistenza, dei sommersi come dei salvati, nel mare della Storia».

Leperino ha concepito un cospicuo insieme di circa 80 sculture in gesso bianco – di diverse dimensioni e d’impianto anche monumentale – e un imponente intervento ambientale di dense stesure pittoriche, in dialogo con alcuni dei luoghi più suggestivi della rocca per creare un articolato itinerario visivo e di senso: dalle rovine della cattedrale dell’Assunta, alla chiesa settecentesca dell’Immacolata con la sua terrazza, agli spazi del convento di Santa Maria della Consolazione.
Uomini e statue scheggiati, trasportati dai moti ondosi del mare e arenati come bianchi ossi di seppia, volti e corpi dalle superfici corrose e discontinue, relitti di viaggi diventati naufragi prima dell’approdo o forse prosciugati da un’infinita attesa, diventano fossili della storia e fantasmi della memoria incrostati di passato e presente, mescolati ai reperti del luminoso passato dell’arte, dell’architettura e ai detriti della civiltà occidentale.

All’artista il compito di salvarne una traccia prima che diventi assenza, un frammento da fissare in
immagine e materia prima che la risacca lo riporti al fondo, perdendosi nelle derive inesorabili del tempo.
Leperino si cala nell’abisso per sondare le profondità della storia e le possibilità di sopravvivenza dell’umano e dell’arte stessa, con il suo carico spurio di una materia “difficile” e ingombrante, oggi quasi straniera nel mondo asettico delle immagini digitali, ma in cui si ostina a immergersi per restituirne il peso storico e culturale.

“Abisso” è un progetto organizzato dall’Associazione “Amici di Gabriele Mattera”, sotto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee e in collaborazione con l’Associazione SMMAVE, LaDI Art e Terramedia®.

                                                                                                                                

Christian leperino, Abisso (dettaglio), 2019, gesso, ph. Mexico_web

Vi invita a:

 

UV Contemporary Art Projects
2019
VALENTINA PALAZZARI
AFFUOCO
a cura di Davide Sarchioni

Venerdì 5 luglio alle ore 19 sarà inaugurata la V edizione di UV – Urban Vision Festival ad
Acquapendente (VT) con la presentazione dell’installazione site-specific che Valentina Palazzari
(Terni, 1975) ha realizzato all’interno dell’ampio spazio centrale dell’antico Chiostro di San
Francesco per la sezione UV Contemporary Art projects, dedicata all’esplorazione dei linguaggi
dell’arte contemporanea e curata da Davide Sarchioni.
A differenza dei precedenti interventi di Matteo Nasini (2016) e di Marco Milia (2018), in questa
occasione Palazzari rilegge l’architettura del Chiostro riqualificando la sua antica funzione di luogo
di spiritualità e di meditazione e interpretando gli ideali di povertà, semplicità e rigore della dottrina
francescana.
AFFUOCO” è il titolo del progetto che esprime uno stato di allerta e si riferisce all’idea di un
incendio o, in senso più ampio, a una “messa a fuoco” sull’attuale situazione socio-culturale italiana.
L’artista ha pensato di creare un unico lavoro in cui è possibile individuare tre aree, distinte
dall’utilizzo di materiali diversi, dove forme e oggetti riconoscibili risultano apparentemente
incongrui rispetto al contesto e sono disposti immobili in uno spazio scenico dal sapore metafisico
che ingloba l’architettura circostante, come immersi in un clima trascendente e di desolante
sospensione in cui sono enfatizzati prospettive stranianti e giochi di luci e ombre.
Lo spazio è dominato da un vecchio capanno costituito da lamiere arrugginite e consunte dal tempo
che prende a modello quelli solitamente utilizzati nelle campagne come riparo per gli attrezzi o la
sorveglianza nei campi. Una grande catena che ne impedisce l’accesso diventa paradigma della
chiusura verso l’altro e il mondo esterno. La struttura povera ed essenziale, a forma di
parallelepipedo e realizzata con materiali di recupero, contrasta con le arcate ampie ed eleganti che
delineano la pianta a quadrilatero del chiostro e risponde al preesistente volume ottagonale della
vera da pozzo di recente fattura. Dalla parte opposta, una catasta di legni morti e combusti si ispira
al catastrofico collasso del tetto della Cattedrale di Notre-Dame a Parigi, dovuto a un incendio
colposo, quale metafora “epocale” del crollo delle certezze e dei valori nella società contemporanea.
Lungo uno dei lati maggiori corre un’infilata di comuni vasi in cotto disposti in maniera caotica e
non funzionale, come una deriva di oggetti inutilizzabili.
Palazzari ha ideato una formula di paesaggio la cui lettura complessiva necessita di un movimento
continuo dello spettatore che, passeggiando per i corridoi coperti e quasi recitando un cammino
rituale, può scorgere nuove situazioni e inaspettati punti di vista.
La ricerca di Valentina Palazzari (Terni, 1975), nella varietà dei suoi pronunciamenti, è afferente
alle formule della scultura, della pittura e dell’installazione e muove da un’indagine sulle proprietà
fisiche e le qualità estetiche di diversi materiali (reti elettrosaldate, plastiche da cantiere e materiali
organici come legni e foglie) e si focalizza sui processi naturali di ossidazione, di decomposizione e
di trasformazione per approfondire i concetti di memoria, spazio e tempo.
Le sue installazioni site-specific sono interventi di grandi dimensioni all’interno di specifici e
inusuali contesti con i quali tenta di stabilire un efficace approccio dialogico.
Vive e lavora a Roma.
Tra i progetti recenti si ricordano:
 “#percezioni 2”, Fondazione Volume!, Roma (2019)
 “Si sta come d’autunno”, SMMAVE Centro per l’Arte Contemporanea, Chiesa di Santa
Maria della Misericordia ai Vergini, Napoli (2018-19)
 “OPUS”, M.A.R.S., Milano (2018)
 “Passaggi di Stato”, con Lorenza Boisi e Regina Josè Galindo, Reggia di Caserta (2018)
 “Made in Forte”, Forte dei Marmi (2017)
 “Pirouette”, Chiesa di Santa Rita in Campitelli, Roma (2017) 


Scheda tecnica:
Artista: Valentina Palazzari
Titolo: AFFUOCO
A cura di: Davide Sarchioni
Luogo: Chiostro di San Francesco (Museo della Città Civico e Diocesano), Piazza Santa Maria 2,
Acquapendente (VT)
Periodo: 5 luglio maggio – 10 settembre 2019
Inaugurazione: Venerdì 5 luglio, ore 19
Organizzazione: Dark Camera
In collaborazione con: Comune di Acquapendente, La Di-Art, TerraMedia®
Orari di visita: lunedì – venerdì, 9 – 18; sabato e domenica su appuntamento. Ingresso libero

MARCO MILIA

WE ARE ALL CONNECTED

a cura di Davide Sarchioni

04 LUGLIO – 10 SETTEMBRE 2019

FONDAZIONE LUCA E KATIA TOMASSINI

Vetrya Corporate Campus

Via dell’Innovazione 2 – Orvieto (TR)

INAUGURAZIONE GIOVEDÌ 04 LUGLIO – ORE 18

La Fondazione Luca e Katia Tomassini presenta la prima installazione artistica tra interno e esterno per Vetrya.

Le spirali del DNA, il viaggio nel tempo, dimensioni che si intrecciano e interagiscono l’una con l’altra, in un continuo gioco di rimandi tra interno e esterno. Il progetto espositivo “We are all connected”di Marco Milia, scultore romano contemporaneo, in mostra dal 4 luglio prossimo, proietta il Vetrya Corporate Campus in una corrispondenza che per la prima volta coinvolge anche la sua architettura esterna.

Pensata espressamente per il Campus, l’installazione, curata da Davide Sarchioni, consiste in due opere, entrambe di grande impatto visivo. La prima, un agglomerato di cerchi di policarbonato, composto da più di 350 fasce circolari colorate, accostate e concatenate l’una all’altra, che ricordano le spirali del DNA, è posta all’esterno della struttura. La seconda, intitolata “No time, no space” e esposta all’interno, consiste in un tunnel composto da due coni che convergono simmetricamente al centro, realizzati anche questi con pannelli di policarbonato, che ricordano una macchina del tempo. 

Il filo conduttore del progetto è il tema della condivisione e dei legami, a partire dal nome: “We are all connected” prende spunto da una delle celebri frasi dell’astrofisico e divulgatore scientifico statunitense Neil deGrasse Tyson: “Siamo tutti collegati; l’uno con l’altro, biologicamente. Alla terra, chimicamente. Al resto dell’universo, atomicamente”. 

L’inaugurazione si terrà giovedì 4 luglio 2019, alle ore 18.00, presso il Vetrya Corporate Campus, a Orvieto – Via dell’Innovazione, 2.

Sarà possibile visitare la mostra all’interno del Campus dal lunedì al venerdì dalle 9:00 alle 19:00, il sabato e la domenica su appuntamento.

La mostra “We are all connected” è curata da Davide Sarchioni e realizzata da Fondazione Luce e Katia Tomassini in collaborazione con Vetrya S.p.A., TerraMedia® e LaDi Art di Isaco Praxolu.

 visita il sito ufficiale della mostra

 

No Time, No Space, Marco Milia, 2019, photo by Isaco Praxolu

Dettaglio Opera Installativa di Marco Milia, 2019, photo by Isaco Praxolu

Water Way, Marco Milia, 2018, Chiostro San Francesco Acquapendente, photo by Isaco Praxolu

La Fondazione Luca e Katia Tomassini presenta “Unfinished Symphony”, il nuovo progetto di Cristiano Petrucci (Roma, 1974) che per la prima volta sperimenta un lavoro site-specific incentrato sull’interazione tra forme plastiche, luce e suono, con l’intento di edificare un’inedita dimensione spaziale, percettiva e sensoriale. L’artista ha escogitato un complesso sistema coreutico costituito da diversi elementi plastici e formali organizzati coerentemente per gruppi e disposti nello spazio espositivo secondo precisi criteri estetici e compositivi.  Ciascun elemento è retroilluminato da un led, le cui variazioni cromatiche sono sincronizzate ai temi di una composizione sonora inedita creata per l’occasione da Michele Papa e che si ispira alla celebre “Incompiuta” (Sinfonia n° 8) di Franz Schubert. L’opera, nel suo insieme, produce un movimento continuo, ipnotico e uno scambio reciproco tra soggetti e oggetti di percezione, con rimandi formali tra i singoli elementi, assecondando un tempo di fruizione circolare senza dover avere la necessità di individuare un  inizio e una fine. L’intento è quello di proporre una mostra intesa come un unico e articolato grande lavoro che suggerisca l’idea di “opera d’arte totale” in grado di coinvolgere attivamente lo spettatore sotto ogni aspetto.

Il titolo del progetto fa riferimento all’Ottava Sinfonia incompiuta di Schubert, scritta tra il 1822 e il 1823, per alcune affinità che si possono riscontrare con il lavoro e la poetica di Petrucci, come il senso di mistero che aleggia sull’interpretazione e la forma aperta della composizione, secondo cui l’opera potrebbe continuare o interrompersi in qualsiasi momento, rimanendo su una prospettiva di sospensione.

I lavori di Petrucci offrono allo spettatore immagini indecifrabili e misteriose, ma cariche di suggestioni riconducibili a qualcosa di già conosciuto. Sono architetture futuribili, tessuti cellulari o agglomerati molecolari, strutture di strani microrganismi, di vegetali, di virus e forse anche di natura aliena, ma che sfuggono ad ogni tentativo di una facile classificazione, sollecitando dubbi, sensazioni tra curiosità e repulsione.

Pur essendo lavori plastici e tridimensionali, sono esposti come quadri appesi a muro, realizzati utilizzando piccoli elementi sferici, semplici palline bianche da ping pong che vengono intagliate e cesellate con un’attenzione maniacale e in seguito assemblate con un fare demiurgico che organizza il caos in articolate forme armoniche e in sé coerenti, seguendo imprevedibili combinazioni e infinite possibilità di aggregazione. Come le particelle di un atomo, anche le sfere di Petrucci sono soggette al moto continuo che regola i mutamenti della materia, dato dalle variazioni cromatiche dei led che amplificano la suggestione percettiva di un lento movimento della scultura, trasformandosi così in materia viva.

Petrucci ha intrapreso una sfida ardimentosa e visionaria, stabilendo una forte contaminazione tra arte e scienza, e tra interpretazione e analisi. Egli è nutrito costantemente dal desiderio del nuovo, di qualcosa di inafferrabile o che ancora non c’è, e ricerca da diversi anni nelle sue opere penetrando con lo sguardo all’interno delle cose, come se guardasse il mondo attraverso la lente di un microscopio o una teca da laboratorio per scoprire improvvisamente altre realtà parallele e invisibili all’occhio umano che fanno riflettere e interrogare sul destino della vita umana.

“Con il mio lavoro cerco in tutti modi di sondare qualcosa di mai visto. Mi piace pensare che la mia arte rappresenti una rottura. L’uomo è sempre alla ricerca di una spiegazione, questa componente annulla qualsiasi cosa, siamo prede di teorizzazioni fuorvianti. Io sono alla ricerca dell’incomprensione, di qualcosa di inafferrabile» (C. Petrucci)

La mostra “Unfinished Symphony” è curata da Davide Sarchioni e realizzata da  Fondazione Luca e Katia Tomassini in collaborazione con TerraMedia® e LaDi Art di Isaco Praxolu.

Orari di visita:

lunedì – venerdì, 919

sabato e domenica su appuntamento. Ingresso libero                                                                                                                           

www.petrucci.vetrya.com

www.fondazionelkt.org

Mutsuo Hirano (Hyōgo – Giappone, 1952) è un artista internazionale di origine giapponese che
vive e lavora tra Berlino e l’Italia, nei pressi di Orvieto.
Per questa mostra ha riunito diversi nuclei di opere insieme a nuovi lavori plastici appositamente
concepiti per lo spazio espositivo e per contaminare altre aree dell’azienda.
Strettamente legata alle proprie vicende biografiche, la ricerca artistica di Hirano è incentrata
sull’impiego prevalente della terracotta, materia primigenia carica di significati e di rimandi, con
cui realizza sculture, manufatti ceramici e oggetti di valenza simbolica e fortemente evocativa,
attingendo a forme, stilemi e simboli liberamente desunti da un immaginario legato tanto alla
cultura orientale, quanto a quella occidentale, in un’affascinante commistione che genera un
ricercato melting pot culturale. Ad alcune sculture sono abbinati anche oggetti e suppellettili tipici
della cultura giapponese, ma utilizzati e reinventati in maniera del tutto inusuale rispetto alle proprie
funzioni originarie, come i preziosi Kimono che vestono alcune teste in terracotta o i grandi
paraventi dipinti che, anziché dividere lo spazio, diventano quadri da appendere a parete.
In questo nuovo progetto espositivo, dal titolo Robot – ロボット, l’artista vuole innescare un
cortocircuito visivo e di senso tra i concetti di “tradizione” e “modernità”, mettendo in relazione
teste e busti di demoni e di antichi idoli, riferibili alla tradizione orientale, a forme e immagini che
guardano all’arte rinascimentale o all’archeologia etrusca e con personalissime rappresentazioni di
creature aliene e moderni robot.
Secondo Hirano l’idea del robot arriva da lontano: per gli antichi erano le statue votive, le
rappresentazioni plastiche dei Santi all’interno delle Chiese in grado di creare un collegamento
spirituale diretto tra l’uomo e il divino. Oggi sono sofisticati congegni capaci di conversare, di
comprendere e reagire alle emozioni.
Emblema della mostra è infatti la scultura “Robot” che reinterpreta le sembianze di Pepper,
l’umanoide simbolo del progresso tecnologico partito dal Giappone, seppur di origine europea. Il
robot di Hirano è realizzato in terracotta e riunisce in sé la leggenda ebraica del Golem, una statua
di argilla animata dalla magia cabalistica, all’idea futuribile di una realtà popolata da esseri umanoidi dotati di intelligenza artificiale.
In un emblematico incontro-scontro tra passato e futuro, tra naturale e artificiale, si aprono così
interrogativi e spunti di riflessione di grande e allarmante attualità.
La mostra è curata da Davide Sarchioni ed è realizzata in collaborazione con l’Associazione Casa
Fornovecchino e TerraMedia® e LaDi Art di Isaco Praxolu.
Sarà visitabile dal 6 aprile al 12 maggio 2019, dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 19.00, sabato e
domenica su appuntamento

Ingresso libero.
Vi aspettiamo!

Per maggiori informazioni:

https://www.hirano.vetrya.com/

con la collaborazione di

Presentiamo:

Al Madre la presentazione del catalogo Valentina Palazzari. Caserta / Napoli

Con l’artista interverranno il Presidente della Fondazione Burri, il critico Bruno Corà, e il curatore Davide Sarchioni

Giovedì 28 febbraio, ore 18.00

Biblioteca (primo piano)

Via Settembrini 79, Napoli

Giovedì 28 febbraio alle ore 18.00, nella biblioteca del Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina sarà presentato il catalogo Valentina Palazzari. Caserta / Napoli, a cura di Davide Sarchioni, che interverrà con l’artista e con il critico Bruno Corà.

La pubblicazione documenta e mette a confronto i progetti site-specific che Valentina Palazzari ha realizzato nel 2018 presso la Reggia di Caserta e la Chiesa di Santa Maria della Misericordia ai Vergini (Napoli).

Alla Reggia di Caserta, nell’ambito della mostra Passaggi di stato (23 febbraio – 20 marzo 2018) di Lorenza Boisi, Regina Josè Galindo e Valentina Palazzari, curata da Bruno Corà e Davide Sarchioni, l’artista è intervenuta in due sale delle Retrostanze del Settecento con un articolato paradigma plastico e pittorico, riconducibile a diversi nuclei poetici della sua attività, in cui forme e misure erano in scala con le dimensioni ambientali degli spazi storici della reggia. Si tratta di lavori a parete a base di rete elettrosaldata, di altri in cui fa uso di putrelle e scatolati in ferro, e di grandi pitture con impronte rugginose su supporti di plastica o di tessuto. Nel vestibolo inferiore invece, Palazzari ha realizzato un’imponente forma tortile data dalla sovrapposizione di reti di ferro.

Differenti sono state le tipologie di intervento realizzate nella “Misericordiella” e i sottostanti ambienti ipogei, sede di SMMAVE-Centro per l’Arte Contemporanea di Santa Maria della Misericordia ai Vergini a Napoli, in occasione della personale Si sta come d’autunno (23 novembre 2018 – 9 febbraio 2019), curata da Davide Sarchioni, che ha ricevuto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee 2018. Qui l’artista ha formulato un’efficace quanto originale ipotesi di interscambio formale e poetico con l’ambiente, che ha introdotto lo spettatore in una dimensione sospesa tra la storia del luogo e una sensazione diffusa di transitorietà. Nella chiesa, un grande tappeto di foglie raccolte per le strade della città e animato da un moto continuo attivato da ventilatori industriali, ha reinterpretato l’ungarettiana precarietà dell’esistenza umana. Nell’ipogeo, un intervento sonoro ha conquistato lo spazio arrecando un senso di allerta, ma anche uno stato di tranquillità e di ascolto interiore che, enfatizzando le percezioni estetiche ed emotive derivate dalla bellezza del luogo, sembrava sollecitare un ritorno emblematico all’origine della vita, quale riferimento alla possibilità della rinascita.

Scheda tecnica del libro

Titolo: Valentina Palazzari. Caserta / Napoli

A cura di: Davide Sarchioni

Testi italiano / inglese di: Bruno Corà, Davide Sarchioni

Foto di: Manolis Baboussis, Cosimo Filippini, Isaco Praxolu

Pagine 48

ISBN: 978-889643457-4

Realizzato in collaborazione con: La DI Art e Terramedia®

Sotto il Matronato della Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee 2018

Biografia

La ricerca di Valentina Palazzari (Terni, 1975), nella varietà dei suoi pronunciamenti, muove da un’indagine sulle proprietà fisiche e le qualità estetiche di diversi materiali (prevalentemente reti elettrosaldate e plastiche da cantiere) nei processi naturali di ossidazione, di decomposizione e di trasformazione in relazione agli agenti esterni, per approfondire i concetti di memoria, spazio e tempo.

Tra le mostre e i progetti recenti si ricordano “Si sta come d’autunno” da SMMAVE a Napoli; “Passaggi di stato” nelle Retrostanze del Settecento alla Reggia di Caserta; “Opus” da MARS a Milano; “In senso antiorario” per MADE IN FORTE a Forte dei Marmi (LU); “Pirouette” nella Ex Chiesa di Santa Rita da Cascia in Campitelli a Roma.

Alcune sue opere pubbliche permanenti si trovano a Frasso Telesino (BN) e nel Parco Ex ILVA di Follonica (GR).

Vive e lavora a Roma.

sono lieti di presentare:

“La Natura delle Forme”

di Antonio Barbieri

a cura di Davide Sarchioni

Venerdì 22 febbraio la Fondazione Luca e Katia Tomassini presenta la mostra “La natura delle forme” di Antonio Barbieri (Rho, 1985) presso il Vetrya Corporate Campus di Orvieto (TR).

Il progetto del giovane scultore si ispira al famoso libro Kunstformen der Natur (Le forme artistiche della natura) del 1904 che comprende una raccolta di 100 litografie e stampe autotipiche del biologo tedesco Ernst Hëckel, rappresentanti diversi organismi, sia vegetali, sia animali, molti dei quali descritti per la prima volta.

Muovendosi liberamente tra le immagini colorate e le svariate forme naturali proposte dalle tavole di Hëckel, Barbieri ha elaborato un’ampia serie di lavori plastici, di disegni e oggetti di diverse dimensioni e materiali che saranno disposti nello spazio, a terra o alle pareti senza soluzione di continuità, sollecitando associazioni formali e cromatiche tali da creare un tipo di ambiente simile ad un laboratorio di biologia, in cui lo scambio reciproco tra arte e natura vuole restituire una visione d’insieme caleidoscopica data dal continuo variare di elementi fitomorfici e geometrici, stilizzati e ornamentali.

La mostra – curata da Davide Sarchioni e pensata in site-specific per lo spazio espositivo – evidenzia gli esiti più recenti della ricerca di Barbieri la cui indagine plastica, volta a rintracciare approcci sempre nuovi alle differenti problematiche legate alla forma e al volume, scaturisce ora da una riflessione sulla natura come sorgente di nuove soluzioni formali ed è affrontata, di opera in opera, come interrogazione continua sulla costituzione e l’evoluzione delle diverse forme naturali, che vengono studiate e riformulate in elaborazioni artistiche utilizzando programmi di modellazione tridimensionale.

Recentemente alcune sculture di Antonio Barbieri sono state scelte per lo spot di Patek Philippe :  “the new Twenty~4 Automatic”.

Sarà possibile visitare la mostra dal 22 febbraio al 1° aprile 2019 dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 19.00, sabato e domenica su appuntamento. Ingresso libero.

Info:

0763 4801

 

“Teratopolis” 

Mostra personale di Christian Leperino

Al Vetrya Corporate Campus approda “Teratopolis”, la mostra personale dell’artista napoletano Christian Leperino.

“Teratopolis” il neologismo per vivere l’arte come rappresentazione plastica della genesi e della trasformazione di una visionaria architettura della nuova polis.

Teratopolis, la mostra di Christian Leperino, è la genesi di un peculiare percorso intrapreso dall’artista fin dagli esordi. La scelta di un titolo che è neologismo per un tema centrale che vede la metropoli come indagine graduale del rapporto tra le forme e i luoghi della città.

La città nelle sue trasformazioni, in quelle del corpo umano e degli abitanti che la vivono. Il racconto dell’arte visiva e della scultura per evocare umori, mutamenti, percezioni, atmosfere e vissuti personali.

Mercoledì 19 dicembre 2018 alle ore 11.00 sarà inaugurata al Vetrya Corporate Campus di Orvieto la mostra Teratopolis, dell’artista napoletano Christian Leperino (classe 1979).

La mostra è parte del progetto LKT Contemporary Art, curato da Davide Sarchioni e realizzato in collaborazione con La DI Art e TerraMedia®di Isaco Praxolu, una scelta per una esplorazione dei linguaggi d’arte contemporanea.

La mostra, costituita da tele di grande formato, sono messe in relazione con le numerose sculture in gesso patinato. La ricerca di una disposizione, per la diversa tipologia e la distribuzione nello spazio, crea un dialogo serrato tra immagini e forme plastiche. La predominanza del bianco e del nero e l’assenza di un commento cromatico ne esalta il valore della drammaticità.

Le quattro tele District del 2013 sono scorci di interni, architetture visionarie in cui la moltiplicazione dei punti di fuga prospettici producono sensazioni di disagio, di claustrofobico e disorientante smarrimento. Un file rouge che risponde a una moltitudine di sculture, realizzate per l’occasione. Tra volti, teste decapitate, città – torri dal vertiginoso sviluppo verticale si delineano mutilazioni e superfici abrase, che assecondano l’idea del frammento archeologico. Ma si proiettano come reperti provenienti dal futuro.

Leperino si interroga sulle criticità dell’identità urbana contemporanea. Un’ identità che appare sempre più sfuggente, multiforme e contraddittoria, muovendosi tuttavia liberamente tra le immagini e le forme del passato e le visioni futuribili di un domani ancora sconosciuto.

E come l’artista stesso afferma: “La rappresentazione del paesaggio urbano per me s’intreccia fortemente con la riflessione sul tempo, sulle trasformazioni delle città e sui destini degli individui che le abitano”.

Sarà possibile visitare la mostra, a ingresso libero, dal 19 dicembre 2018 al 1 febbraio 2019dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 19.00, presso il Vetrya Corporate Campus.

Maggiori informazioni nel sito: https://www.leperino.vetrya.com/

TerraMedia®, LaDI Art e Associazione TEMA , sono lieti di presentare:

“Luci a Teatro”

I edizione

BOCA
design

Associazione TEMA è lieta di presentare la I edizione di Luci a Teatro, progetto artisticoculturale
che, durante il periodo delle festività natalizie, illuminerà il portico di accesso al
Teatro Mancinelli di Orvieto dall’8 dicembre 2018 all’8 gennaio 2019. Ideato e curato da
Isaco Praxolu e Davide Sarchioni, il progetto prevede l’invito ad artisti emergenti per
realizzare un’installazione luminosa coniugando le arti visive con la tradizione delle luci di
Natale.
Così, il consigliere dell’Associazione TEMA Roberta Mattioni, che ha curato e seguito
l’iniziativa, illustra il progetto:
“Come suggerito dal titolo stesso, la location d’eccezione sarà il Teatro Mancinelli e, in
particolare, il porticato d’accesso e il foyer che verranno temporaneamente trasformati e
illuminati da vere e proprie opere d’arte site specific, concepite da artisti contemporanei i
quali dovranno confezionare opere con alto valore non solo visivo ma anche concettuale,
accomunate dall’utilizzo della luce.
La prima edizione 2018 di Luci a Teatro – Orvieto è inaugurata da un progetto site specific
ideato da BOCA design, composto dal duo Roberta Boggi e Chiara Carrarini, con una grande
installazione scultorea-luminosa sospesa pensata per le volte del porticato di accesso al Teatro
e una seconda per il foyer. Si tratta di “sculture” realizzate con materiali di recupero
(impiallacciature di legno, plastica, reti metalliche) in cui l’innesto delle luci tenderà a creare
una volumetria dal forte impatto estetico e sensoriale.
BOCA design è un atelier di ricerca incentrato sull’eco-design che realizza sculture,
installazioni e oggetti caratterizzati da un linguaggio materico-luminoso con effetti
chiaroscurali intensi per definire i volumi esaltandone la plasticità e la leggerezza, talvolta
accentuati da video mapping sulla struttura.
Il coinvolgimento del Mancinelli, tanto nella parte esterna quanto in quella interna, consentirà
una doppia fruizione dell’opera rivolta sia ai passanti su Corso Cavour, sia agli abituali
frequentatori del Teatro. L’intervento all’esterno potrà essere considerato come una vera e
propria opera d’arte urbana temporanea, costituendo un’attrattiva fruibile in ogni momento
della giornata e soprattutto durante le ore notturne”.
Soddisfazione per tutto il CdA dell’Associazione TEMA per questa nuova e importante
opportunità con la quale partecipa all’abbellimento della Città di Orvieto per tutte le festività
natalizie.
L’inaugurazione dell’installazione, a cui sono invitati sia i Soci TEMA che tutta la collettività, è
prevista per il giorno sabato 8 dicembre, ore 17.
Luci a Teatro è organizzato da Associazione TEMA in collaborazione con LaDI Art e sotto il
marchio TerraMedia®.

Titolo: LUCI A TEATRO
Artista: BOCA design (Roberta Boggi, Chiara Carrarini)
A cura di: Isaco Praxolu, Davide Sarchioni
Luogo: TEATRO MANCINELLI (Portico d’acceso e foyer)
Corso Cavour 122, ORVIETO – TR
tel. 0763.340422-340493
www.teatromancinelli.com
Periodo: 8 dicembre 2018 – 8 gennaio 2019
Inaugurazione: sabato 8 dicembre, ore 17
Organizzazione: Associazione TEMA
In collaborazione con:
La Di-Art
TerraMedia® – www.terramediaproject.com
Giorni e Orari di apertura:
tutti i giorni
ingresso gratuito
Info:
Ufficio Promozione, comunicazione e stampa
0763.531496
promozione@teatromancinelli.it
LaDi e TerraMedia
isaco.praxolu@terramediaproject.it

Tutte le Mostre Organizzate da TerraMedia® e LaDI Art